STEFANO GILI

FOTOREPORTAGE

Pantelleria

5 Settembre 2022

La prima volta che si arriva a Pantelleria, si è quasi disorientati: le solitudini, i palazzi fatiscenti, le strade impervie, sconnesse e dall’incerto traguardo; tutto a Pantelleria inizialmente infonde una strana inquietudine.

Ci sono spazi in cui si ha timore di restare a piedi perché attorno non v’è nulla, nemmeno il segnale telefonico, luoghi in cui non si comprende se, dopo la salita, il sentiero continuerà in discesa o se incontreremo un dirupo a strapiombo sul mare.

Di questi spazi però, a poco a poco, ci si comincia ad innamorare, perché sono capaci di raccontare di noi, di quello che siamo stati, come se l’isola, nei suoi 5000 anni di vita, ci avesse già visti calcare quella terra, ammirare la vastità del mare a perdita d’occhio, rincorrere i nostri pensieri nel vento.

Sono spazi silenziosi, in cui poter restare soli con i propri pensieri.

Il silenzio, a Pantelleria è quanto di più temibile ma anche di più ancestrale possa ancora esistere, è un torpore greve, una coperta pesante che cala su tutto, specialmente la notte, e rende surreale il mondo là fuori.

Così quegli spazi che confinano il silenzio, raccontano di una vita che c’era e di una che ancora vi scorre lentamente, il solo contemplarli, ci acquieta e ci frena il passo, ed è in quel momento che avviene la magia, tra edifici fatiscenti, catene arrugginite, polvere e terra, si ritrova quella voce interiore che nel caos delle nostre città, non sentiamo più, una voce che ci dice che, una volta, quell’isola la chiamavamo Casa.